Legislazione sulla qualità ed emissioni nocive. I combustibili solidi, liquidi e gassosi.

Legislazione sulla qualità ed emissioni nocive.

I combustibili solidi, liquidi e gassosi.





Con riferimento ai combustibili liquidi, gassosi e solidi nella pubblicazione 2018-19,03 abbiamo effettuato ricerche sulla legislazione europea che interessa la qualità dei combustibili e l'emissioni di sostanze inquinanti nocive nell'aria. Siamo stati interessati dalla analisi tecnica di un combustibile svolgendo ricerche sulle grandezze di rilievo con cui vengono caratterizzati: potere calorifico, temperatura di combustione, temperatura di accensione, temperatura di ignizione, aria di combustione, viscosità, potere calorifico; abbiamo svolto studi sul metodo teorico per la determinazione del potere calorifico e dell'aria di combustione e del rendimento di un impianto motore, con interesse anche ad alcuni metodi sperimentali.

1 - INTRODUZIONE
Con l'obbiettivo di migliorare la qualità dell'atmosfera per quanto riguarda l'anidride solforosa ed altri gas inquinanti, la Comunità ha dovuto adottare provvedimenti per ridurre progressivamente il tenore di zolfo del gasolio utilizzato per la propulsione di veicoli, compresi aeromobili e navi e il gasolio per il riscaldamento, l'industria e le navi a partire dall'anno 1975 con la direttiva 75/716/CEE che costituisce una prima tappa verso la riduzione del tenore di zolfo dei combustibili liquidi e riguarda soltanto i gasoli; con questa direttiva vengono definiti due tipi di gasoli, tipo A e tipo B; in essa viene data una definizione di taluni tipi di combustibili contenente zolfo con l'intendo di ridurne il contenuto. Con l'articolo 1 della stessa direttiva al paragrafo 1 è definito gasolio qualsiasi prodotto petrolifero che, per i suoi limiti di distillazione, fa parte dei distillati medi destinati ad essere utilizzati come combustibili o carburanti e di cui almeno l'85 % in volume, comprese le perdite di distillazione, distilla a 350 °C; (sono anche inclusi, nella medesima definizione di gasoli, qualsiasi prodotto petrolifero definito nella sottovoce 27.10 C I della tariffa doganale comune, edizione 1° gennaio 1974). Nel medesimo articolo vengono definiti gasolio di tipo A qualsiasi gasolio a basso tenore di zolfo il cui uso non è soggetto a restrizioni negli Stati membri; gasolio di tipo B qualsiasi gasolio destinato ad essere usato: nelle zone in cui i livelli d'inquinamento atmosferico dovuto ad anidride solforosa, misurati a livello del suolo, sono sufficientemente bassi, o nelle zone in cui la partecipazione del gasolio all'inquinamento atmosferico dovuto ad anidride solforosa non è significativa. Lo stesso articolo al paragrafo 2 esclude l'applicabilità della definizione del paragrafo 1 per i gasoli impiegati nelle centrali elettriche, impiegati per le navi adibite alla navigazione marittima, contenuti nei serbatoi di carburante dei battelli adibiti alla navigazione interna o dei veicoli a motore al momento del passaggio da una zona all'altra o da una frontiera tra uno Stato terzo e uno Stato membro. Nell'articolo 2 al paragrafo 1 vengono definiti i limiti del tenore di zolfo per i gasoli e stabilisce che gli Stati membri adottano le misure necessarie affinchè : a) i gasoli di tipo A possano essere immessi nel mercato interno della Comunità soltanto se il tenore dei composti di zolfo, espresso in zolfo, (che essi contengono) non è superiore allo 0,5 % in peso, a decorrere dal 1° ottobre 1976, e allo 0,3 % in peso, a decorrere dal 1° ottobre 1980; b) i gasoli di tipo B possano essere immessi nel mercato interno della Comunità soltanto se il tenore dei composti di zolfo, espresso in zolfo, che essi contengono, non è superiore allo 0,8 % in peso, a decorrere dal 1° ottobre 1976, e allo 0,5 % in peso, a decorrere dal 1° ottobre 1980. Nell'articolo 5 viene sancito che gli Stati membri determinano quali sono le zone nelle quali è permesso l'uso del gasolio del tipo B. Essi informano gli altri Stati membri e la Commissione in merito alle loro decisioni, nonchè ai criteri seguiti per la scelta.
La direttiva 75/716/CEE viene prima modificata dalla direttiva 87/219/CEE e poi sostituita dalla direttiva 93/12/CEE. Con la direttiva 87/219/CEE vengono apportate varie modifiche tra cui la riduzione del tenore di zolfo possibile nei gasoli. Ulteriori riduzioni vengono apportate dalla direttiva 93/12/CEE; questa ultima direttiva viene prima modificata dalla direttiva 98/70/CE e definitivamente abrogata dalla direttiva 2009/30/CE attualmente in vigore, stessa direttiva che modifica la direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel..
Con la direttiva 93/12/CEE la Commissione Europea al fine di raggiungere i livelli di emissione di particelle fissati nelle direttive comunitarie specifiche (ad esempio la direttiva 2008/50/CE, del 21 maggio 2008, attualmente in vigore e relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa oggetto di studio delle prossime ricerche), gli Stati membri proibiscono la commercializzazione nella Comunità di carburanti diesel il cui tenore di composti dello zolfo, espresso in zolfo (di seguito indicato come tenore di zolfo), superi:
- lo 0,2 % in peso a partire dal 1° ottobre 1994,
- lo 0,05 % in peso a partire dal 1° ottobre 1996.
Gli Stati membri provvedono a garantire la disponibilità progressiva di carburanti diesel di cui sopra (comma 1, paragrafo 1, articolo 2) con un tenore massimo di zolfo dello 0,05 % in peso. Gli Stati membri proibiscono la commercializzazione nella Comunità di gasoli diversi, o destinati a utilizzazioni diverse, da quelli di cui sopra (paragrafo 1, articolo 2 della stessa direttiva 93/12/CEE), eccettuati i cheroseni per aeromobili, il cui tenore di zolfo supera lo 0,2 % in peso a partire dal 1° ottobre 1994. Con la stessa direttiva la Commissione europea ha sancito l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie per effettuare controlli casuali del tenore di zolfo del gasolio in commercio. Il metodo di riferimento adottato per la determinazione del tenore di zolfo dei gasoli commercializzati è quello definito dal metodo ISO 8754. L'interpretazione statistica dei risultati dei controlli al fine di stabilire il tenore di zolfo dei gasoli in commercio deve essere effettuata secondo la norma ISO 4259.
Con la direttiva 98/70/CEE la Commissione europea ha l'intendo di ridurre le emissioni inquinanti prodotte dai gas di scarico dei veicoli a motore e con l'intendo di ridurre le disparità tra le disposizioni legislative o amministrative degli Stati membri sulle specifiche dei combustibili di tipo tradizionale e alternativo utilizzati nei veicoli con motore ad accensione comandata e motori ad accensione per compressione; ha l'intendo di ridurre gli ostacoli tra gli scambi nella Comunità che possono incidere direttamente sull'instaurazione e sul funzionamento del mercato interno, nonchè sulla competitività internazionale delle industrie europee dell'automobile e della raffinazione. Vengono dettate disposizioni legislative sia per l'imitare le emissioni inquinanti che per definire misure adeguate ed armonizzate per l'intendo, in considerazione che gli inquinanti atmosferici primari, quali gli ossidi di azoto, gli idrocarburi incombusti, il particolato, il monossido di carbonio, il benzene e altri gas di scarico nocivi che contribuiscono alla formazione di inquinanti secondari come l'ozono sono contenuti in quantità rilevanti nei gas di scarico e nelle emissioni per evaporazione dei veicoli a motore creando così, direttamente o indirettamente, un rischio considerevole per la salute dell'uomo e per l'ambiente. Con la direttiva 98/70/CEE ed in applicazione dell'articolo 4 della direttiva 94/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio la Commissione ha definito un nuovo approccio per le politiche di riduzione delle emissioni, attuate a partire dall'anno 2000, inoltre ha esaminato, tra l'altro, in quale misura il miglioramento della qualità della benzina, del combustibile diesel e di altri combustibili avrebbe ridotto l'inquinamento atmosferico. La direttiva 94/12/CE relativa alle misure da adottare contro l'inquinamento atmosferico da emissioni di veicoli a motore modifica la direttiva 70/220/CEE con cui la commissione sancisce le prime disposizioni riguardo alla omologazione dei veicoli a motore con accensione comandata con riferimento all'inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico. Con la direttiva 94/12/CE nell'articolo 4 vengono dettate disposizioni in merito alle misure comunitarie contro l'inquinamento atmosferico causato dai veicoli a motore. La Commissione stabilisce che le misure saranno concepite in modo tale che i loro effetti soddisfino le prescrizioni comunitarie in materia di criteri della qualità dell'aria e gli obiettivi ad esse associati; si impegna a procedere ad una valutazione degli aspetti di costo/efficacia di ogni misura tenendo conto, fra l'altro, dei contributi che potrebbero apportare per il miglioramento della qualità dell'aria: la gestione del traffico, ad esempio per quanto riguarda una ripartizione adeguata dei costi ambientali, - la promozione del trasporto pubblico urbano - le nuove tecnologie di propulsione (ad esempio la trazione elettrica ), - l'uso di carburanti alternativi (ad esempio i biocombustibili), - le misure saranno proporzionate e ragionevoli rispetto agli obiettivi perseguiti. Le proposte della Commissione tengono conto della metodologia di cui sopra e mirano alla riduzione sostanziale delle emissioni inquinanti per quanto riguarda i veicoli, ai sensi della medesima direttiva 94/12/CE, e comprendono in particolare i seguenti elementi:
ulteriori miglioramenti delle prescrizioni della presente direttiva (articoli da 1 a 3) sulla base della valutazione: delle potenzialità del motore tradizionale e della tecnologia della postcombustione, dei possibili perfezionamenti del procedimento di prova, ad esempio, partenza a freddo, partenza a temperature basse o invernali, durata (ad esempio nelle prove di conformità), emissione di vapore; delle misure in materia di omologazione che prevedono requisiti più severi di ispezione e di manutenzione, comprendenti, ad esempio, sistemi diagnostici di bordo. Le migliorie, intendo della indicata direttiva, si basano inoltre sulla valutazione della possibilità di un controllo della conformità dei veicoli in circolazione, dell'eventuale necessità di: i) limiti specifici per HC e NOx oltre ad un valore limite cumulativo e ii) misure per includere gli inquinanti non ancora disciplinati.
L'ulteriore elemento contenuto nelle proposte della Commissione per le misure da adottare tramite la direttiva 94/12/CEE contro l'inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico dei veicoli a motore è costituito dalle Misure tecniche complementari nel quadro di direttive specifiche, comprendenti: miglioramenti della qualità del carburante per quanto concerne le emissioni di sostanze pericolose (in particolare di benzene ) dei veicoli, prescrizioni più severe per il programma di ispezione e di manutenzione.
I valori limite ridotti, oggetto della direttiva 94/12/CE non sono stati applicati prima del 1° gennaio 2000 per le nuove omologazioni. Il Consiglio ha introdotto incentivi fiscali definendo le condizioni di concessione in base a tali valori limite.
La direttive 70/220/CEE e la direttiva 94/12/CE sono successivamente abrogate dal regolamento (CE) 715/2007 modificato nell'anno 2008 dal regolamento 692/2008/CE ; le indicate norme sono state oggetto di studio della pubblicazione 2018-19,06 (magazine H Research numero 2018-19, data di pubblicazione: giugno 2018).
La direttiva 98/70/CEE stabilisce, per ragioni di tutela della salute e dell'ambiente, le specifiche tecniche relative ai carburanti da utilizzare nei veicoli con motore ad accensione comandata e motore ad accensione per compressione (diesel); definisce specifiche ecologiche per la benzina e il combustibile diesel, detta disposizioni legislative considerato che l'impiego di ossigeno e una consistente riduzione degli aromatici, degli olefinici, del benzene e dello zolfo possono permettere di ottenere carburanti di qualità migliore dal punto di vista della qualità dell'aria. Ai fini di questa direttiva, si intende per:
1) benzina: gli oli minerali volatili destinati al funzionamento dei motori a combustione interna e ad accensione comandata, utilizzati per la propulsione di veicoli e compresi nei codici NC 2710 00 27, 2710 00 29, 2710 00 32, 2710 00 34 e 2710 00 36;
2) combustibile diesel: i gasoli specificati nel codice NC 2710 00 66 e utilizzati per i veicoli a propulsione autonoma (veicoli a motore con accensione comandata o spontanea, per compressione).
Con gli allegati I, II, III e IV di questa direttiva vengono definite le specifiche ecologiche dei combustibili disponibili sul mercato sia per i veicolo con motore ad accensione comandata (benzina) che per i veicoli con motore ad accensione per compressione (diesel); sia la direttiva 98/70/CEE, che gli allegati vengono modificati dalla direttiva 2009/30/EC, dalla direttiva 2014/77/UE e dalla direttiva 2015/1513/UE.
La direttiva 2009/30/CE che abroga la direttiva 93/12/CEE viene attuata per l'Italia con il decreto legge numero 55 del 31 marzo 2011, la direttiva 98/70/CEE come modificata dalle direttiva 2009/30/CE viene attuata dallo stesso decreto legge numero 55 del 31 marzo 2011, come modificata dalla direttiva 2014/77/UE dal decreto legge numero 99 dell'8 aprile 2016, come modificata dalla direttiva 2015/1513/UE viene attuata con decreto legge numero 51 del 21 marzo 2017.

2 - I COMBUSTIBILI

Il principale dato caratterizzante i combustibili, liquidi, solidi e gassosi è il potere calorifico: la quantità di calore che si sviluppa dalla combustione di un kilogrammo di combustibile; nel sistema internazionale misurata in kJ (kiloJoule) o in MJ (megaJoule). Molto diffusa è la kcal (kilocaloria) dove 1 kcal=4.187 kJ.

Combustibili solidi
Il combustibile solido maggiormente utilizzato per le macchine è il carbone, costituito in prevalenza da carbonio, in percentuale variabile in base alla qualità e da altre sostanze: idrogeno, ossigeno, zolfo (aromatici), e piccole quantità di sostanze minerali (silice, allumina, ossido di ferro, ecc.) che costituiscono il residuo solido della combustione (ceneri). I carboni (combustibili solidi) si distinguono in antracite, litantrace, lignite e torba; la distinzione è legata all’epoca di formazione del carbone: ad esempio l’età del tronco dell’albero da cui vengono prodotti i carboni. I carboni di tipo torba sono di epoca più recente, i carboni di tipo antracite di epoca più remota. La percentuale di carbonio, il costituente principale, decresce perciò dai valori più alti nell’antracite (oltre il 90% poiché in essa il processo di carbonizzazione è stato quasi completo) ai più bassi nelle torbe (50% - 60%). Più è alta la percentuale di carbonio è più è alta la quantità di calore sviluppata in combustione.

Di seguito vengono riportati i dati raccolti in merito alle composizioni elementari e poteri calorifici superiori Hs dei carboni


Carbonio %
Idrogeno %
Ossigeno %
Azoto %
Hs
Torba
50 - 60
4,5 – 5,8
28 - 48
0,75 - 3
12600-16700
Lignite
60 - 75
5
20 - 35
0,75 - 2
15100-25100
Litantrace
75 - 90
4,5 – 5,5
5 - 15
0,75 – 1,8
29300-36800
Antracite
90 - 95
2,5
3
0,50 - 1
34800-35600


Esistono altre classificazioni pratiche dei carboni, ad esempio in base alla percentuale di idrocarburi volatili presenti, a fiamma lunga o corta (composti organici di carbonio e idrogeno), oppure in base alla percentuale di idrocarburi bituminosi dai quali dipende il potere agglomerante (grassi, semi-grassi), all’epoca del componente principale (il legname) o dal luogo di provenienza. I carboni maggiormente utilizzati per le caldaie sono i litantrace semigrassi a fiamma corta con un agglomerato sufficientemente omogeneo che, quindi, non tendono a sgretolarsi come i magri ed eliminano l’inconveniente di una fiamma troppo lunga quali il raffreddamento per il contatto con i tubi; (a parità di potere calorifico la fiamma lunga distribuisce il calore in una area maggiore riducendo il flusso di calore per unità di superficie e quindi la temperatura raggiunta). Anche se l’innalzamento del costo de petrolio ha favorito l’utilizzo dei carboni, il combustibile liquido resta in prevalenza il più usato.

Combustibili liquidi
Il petrolio è un liquido composto in prevalenza da acqua, oli e grassi (idrocarburi) ed altre numerose sostanze; la composizione risulta abbastanza diversa in relazione alla qualità e al luogo di provenienza (Paesi Arabi, Stati Uniti, Canada, Messico, ed altri). In media è composto dall’80% al 90% da carbonio C, dal 10% al 15% da idrogeno H2, dal 20% al 5% da ossigeno O2, dal 0,10% al 1,6% da zolfo S, dal 0,10% al 1,6% da azoto N2, dal 0,10% al 1% da acqua e dal 0,10% da ceneri. Il petrolio proveniente dai paese produttori è sottoposto a raffinazione con processo di distillazione frazionata tramite il quale vengono separate le sostanze di diversa qualità. La distillazione avviene in apposite colonne, o torri, in cui il greggio viene portato a seguito preriscaldamento a 400 °C, nella parte bassa della torre sono estratti gli oli pesanti che distillano a temperatura tra i 300 °C e 400 °C, e i residui (bitumi). Da questa fase si ottengono le nafte pesanti, (fuel oil) di densità ρ=800-900 kg/m3 impiegati nei generatori di vapore e nei grandi motori diesel a due e quattro tempi, mentre i residui, bitumi, in lubrificanti. Ad altezze maggiori delle torri di distillazione si estraggono gli oli medi che distillano tra i 200 °C e i 300 °C circa, utilizzati per la produzione di gasoli, kerosene, utilizzati nei motori diesel veloci e nelle turbine a gas. Alla sommità delle torri sono in fine prelevati gli oli leggeri che distillano a temperature minori di 200 °C utilizzati per la produzione di benzine che hanno la caratteristica di essere volatili e formare quindi con l’aria una miscela altamente infiammabile. Le benzine trovano largo impiego nei motori automobilistici funzionanti secondo il ciclo Otto, definiti anche motori a carburazione o ad accensione comandata; le benzine vengono sottoposte anche ad altri processi come ilreforming, un processo utilizzato per aumentare il numero di ottano di una miscela idrocarburica; il numero di ottano è un indice della resistenza alla detonazione (o caratteristica antidetonante) della benzina o di altri carburanti.

La benzina normalmente in commercio per auto ha numero di ottano di circa 95, misurato con il metodo Research (RON) in cui viene testato il potere detonante con il motore in condizioni fredde, oppure è di circa 85 se misurato con il metodo Motor (MON), una prova più severa, dove il motore di prova è il medesimo del sistema RON, ma viene testato sotto carico, con il motore che ha un regime di rotazione superiore, inoltre l'anticipo d'accensione è più alto rispetto al metodo RON, per testare il potere antidetonante. Entrambe le prove si basano sull’utilizzo di un motore a quattro tempi con rapporto di compressione variabile; dalla variazione di questo ultimo si porta la benzina in misurazione a detonazione. Successivamente si ripete la prova senza variare il rapporto di compressione ed utilizzando una miscela campione in cui è possibile variare il numero di ottani noto. Quando viene raggiunta la detonazione, si ottiene la misurazione del numero di ottani della benzina definito come il numero di ottani della miscela campione portata a detonazione variando il numero di ottani noto. Per definizione si attribuisce un numero di ottani pari a zero a n-eptano, un qualunque alcano: composti organici costituiti solamente da carbonio e idrogeno, per questo motivo appartenenti alla più ampia classe degli idrocarburi aventi formula grezza CnH(2n + 2) come nel caso dell’n-eptano con formula grezza C7H16 o ad una qualunque miscela di più composti corrispondenti a tale formula (isomeri strutturali) come l'isomero lineare, chiamato più propriamente n-eptano che a temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore dall'odore pungente, è un composto molto infiammabile, irritante per la pelle, pericoloso per l'ambiente, nocivo. Si attribuisce numero di ottani pari a 100 all’isootano, nome tradizionale con cui generalmente si indica il 2,2,4-trimetilpentano, un idrocarburo alifatico ramificato appartenente alla serie degli alcani. A temperatura ambiente è un liquido incolore dal tipico odore di benzina, nella quale è presente, inoltre è moderatamente volatile e molto infiammabile; trova impiego come solvente e come idrocarburo di riferimento per la misura del numero di ottano questo perché da studi effettuati sui motori risulta che gli idrocarburi altamente ramificati abbiano una pre-detonazione (o battito di testa) molto inferiore agli idrocarburi alifatici lineari.
Una benzina avente numero di ottano 95 ha la stessa resistenza alla detonazione di una miscela 95:5 di isoottano e n-eptano.
La benzina per auto "normale" (non più in commercio in Italia) presenta un numero di ottano pari a circa 84 - 86, mentre la benzina "super" (non più in commercio in Europa) presenta un numero di ottano maggiore, pari a circa 98 - 100 (poi ridotto a 97). Attualmente diverse compagnie petrolifere propongono anche carburanti con numero di ottano 98-101, in considerazione che più è grande il numero di ottano, più è alto il potere antidetonante del carburante qualità che riduce il rischio di detonazione della benzina innescabile per la semplice compressione provocata dal pistone con possibilità di raggiungere un rapporto di compressione più elevato.

I dati raccolti indicano che nei combustibili liquidi derivati dal petrolio il potere calorifico inferiore assume valori oscillanti tra 41.870 – 42.000 kJ/kg (10.000 – 10.300 kcal/kp). Grandezze di rilievo per i combustibili liquidi sono anche la temperatura di infiammabilità, la temperatura che deve raggiungere un combustibile liquido affinché i vapori emessi formino con l’aria una miscela infiammabile in presenza di innesco. Il valore della temperatura di infiammabilità è molto importante anche per ragioni di sicurezza; è basso nelle benzine,20 °C, mentre cresce considerevolmente nei gasoli, nelle nafte: 70-140 °C. Dai valori di sopra risulta chiaro che le benzine sono particolarmente idonee a formare miscele con l’area e per questo vengono usate in prevalenza nei motori a ciclo ad Otto (accensione comandata) ma sono anche pericolosi per la facile formazione di miscele esplosive. Le nafte ed i gasoli per formare miscela con l’aria devono essere preriscaldati, motivo per cui vengono in prevalenza utilizzati nei motori ad accensione per compressione e sono considerati meno pericolosi delle benzine. Altra grandezza che caratterizza i combustibili liquidi sono latemperatura di accensione definito come la temperatura alla quale il liquido si accende a contatto con la fiamma e con una adeguata presenza di aria; si tratta di una temperatura poco superiore alla temperatura di infiammabilità. In fine viene definita viscosità dei combustibili liquidi la grandezza che caratterizza la resistenza allo scorrimento attraverso le tubazioni, fori; è determinata con speciali apparecchi detti viscosimetri, basati sulla misura dei tempi necessari per il passaggio attraverso un orifizio di prestabilite dimensioni, del fluido in esame e di un altro liquido a confronto, entrambi ad una determinata temperatura. Esistono diversi tipi di viscosimetri tra cui quello di Redwood, di Saybolt e di Engler. In questo ultimo normalmente viene fatto scorrere attraverso un capillare (l’orifizio) per gravità 200 ml di olio e un uguale quantitativo di acqua distillata alla temperatura di 40 °C; il sistema è dotato di isolamento termico con l’esterno e nelle condizioni indicate un comune olio impiega normalmente 600 secondi a defluire mentre l’acqua distillata impiega 60 secondi consentendo così di definire il rapporto (600/60) = 10, detto viscosità dell’olio, misurata in Englar e così indicato: 10 °E a 40 °C. Lo strumento normalizzato secondo le norme ISO DIN è costituito da un recipiente di modeste dimensioni in ottone, immerso in una vasca termostatica, provvisto di un foro calibrato (orifizio) disposto in basso al centro. La viscosità decresce con l’aumento di temperatura e per tanto è tecnica comune dei costruttori di dotare le macchine di resistenze elettriche per riscaldare il combustibile (specialmente nafte pesanti) prima dell’ingresso nella tubazione e nei polverizzatori (ad esempio iniettori nella camera di combustione o nella tubazione di iniezione) che alimentano gli impianti motori.
Di rilievo è anche la grandezza definita come temperatura di ignizione: la temperatura alla quale bisogna portare una miscela di combustibile e comburente (ad esempio benzina ed aria) affinché la reazione di combustione innescatasi in un punto possa propagare in tutta la massa della miscela. Ovviamente anche a temperature poco inferiori è possibile che la reazione di combustione innescatasi in un punto si propaghi in tutta la miscela combustibile comburente. Utile è definire l’energia di attivazione Ep della combustione in funzione della distanza tra le molecole, detta coordinata di reazione:



Quando le molecole reagenti della miscela vengono a contatto tra di loro, urtano, l’energia cinetica si trasforma in energia potenziale; quando le molecole sono sufficientemente distanti tra loro esse non reagiscono e si trovano ad un certo livello energetico indicato in figura sopra con reagenti. Affinché la reazione di combustione avvenga si deve formare un complesso attivato che si scinde a causa della combustione nei prodotti; evento che richiede alle molecole reagenti una certa quantità di energia cinetica indicata con Ea in figura sopra e detta energia di attivazione. Dalla analisi della distribuzione statistica della velocità delle molecole riportata in figura sotto è possibile osservare che con l’aumento della temperatura si ha un numero crescente di molecole con velocità pari o superiore alla velocità V0 necessaria affinché si crei il complesso attivato e quindi si inneschi la combustione propagandosi per tutta la massa della miscela combustibile comburente. Essendo l’energia cinetica a trasformarsi in energia potenziale nell’urto, ed essendo la prima crescente con la velocità delle molecole, esiste una velocità V0 per cui la trasformazione in energia potenziale è sufficiente ad innescare il complesso attivato. Il numero di molecole influenza l’attivazione perché se è basso l’energia prodotta nell’urto anche se da molecole reagenti con velocità uguale o superiore alla velocità V0 si disperde non risultando sufficiente ad innescare la combustione.


Quando il numero di molecole N è sufficientemente alto tale che l’energia prodotta superare l’energia potenziale dispersa, durante gli urti delle molecole reagenti, si innesca la combustione che si propaga in tutta la miscela combustibile comburente. Per tanto essendo la temperatura a determinare il fenomeno di sopra, superata la temperatura T3 il combustibile a contatto con l’aria innesca la combustione in modo spontaneo senza la necessità dell’innesco (l’autocombustione). Il valore della temperatura T3 è definito temperatura di ignizione che assume i seguenti valori: per carbone coke 500 °C, per olii minerali pesanti 340 °C, per benzina 250 °C, per gasolio 230 °C.

Combustibili gassosi
I gas di maggiore utilizzo sono i gas naturali costituito maggiormente da metano (ottenuti da processi tecnologici di compressione dell’aria in miscelazione con altre sostanze, da cui deriva in prevalenza carbonio, idrogeno e azoto che legati all’aria compressa formano il nuovo elemento: combustibile gassoso), i gas di cokeria e di altoforno. Il gas d'altoforno è una miscela di gas che si ottiene come sottoprodotto della ghisa in altoforno. La sua composizione media è: 60% N2, 24% CO, 12% CO2, 4% H2 e ceneri. Nella parte bassa dell'altoforno viene insufflata aria arricchita di ossigeno preriscaldata a circa 1000 °C. Questa arriva in contatto con il coke che si incendia con produzione di CO e CO2 secondo l'equilibrio di Boudouard (2COCO2+C). Il gas risale l'altoforno riducendo l'ossido di ferro a ferro metallico, ma non tutto il CO viene ossidato a CO2. I gas che escono dal forno (gas d'altoforno) sono ancora ricchi di CO e quindi possono essere impiegati come combustibili, dopo la separazione delle ceneri. Il gas di cokeria è una miscela di gas ottenuto per distillazione secca di alcuni tipi di litantrace. La litantrace viene distillata per produrre coke metallurgico, il gas risultante è usato come combustibile, come reagente o come fonte di idrogeno; la composizione è molto simile a quella del gas di città, ma con un contenuto di idrogeno più alto. Il metano è un idrocarburo semplice (alcano) formato da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno; la sua formula chimica è CH4, e si trova in natura sotto forma di gas. Di seguito si riportano i dati raccolti sulla composizione media di alcuni combustibili gassosi con le percentuali espresse in volume (gli analizzatori dei gas indicano i dati in percentuali di volumi):

%
Gas naturale
Gas d’alto forno
Gas di cokeria
(da litantrace)
CH4
95,6
0,5
34
CO
-
26
8
H2
-
3
50
Cm Hn
2,6
-
4
O2
0,2
-
-
N2
1,5
56
2
CO2
0,1
9,5
2
H2O
-
5
-



3 - CALCOLO DELL’ARIA DI COMBUSTIONE E DEL POTERE CALORIFICO

Tra i vari elementi che costituiscono un combustibile interessano il fenomeno della combustione il carbonio, l’idrogeno, lo zolfo e l’ossigeno. Le reazioni elementari di una combustione completa si rappresentano come segue:

C + O2 = CO2
2H2 + O2 = 2 H2O
S+ O2 = SO2

Dalle masse atomiche e molecolari degli elementi sopra indicati si possono ricavare agevolmente i fabbisogni di ossigeno:

H (1, 2) – O (16, 32) – C (12, 12) – S (32, 32),

da cui deriva ad esempio che

32 kg di ossigeno per 12 kg di carbonio (rapporto 8/3)
16 kg di ossigeno per 2 kg di idrogeno (rapporto 8)
32 kg di ossigeno per 32 kg di zolfo (rapporto 1)

quindi per una molecola di CO2 sono necessari 32 kg di ossigeno e 12 kg di carbonio (la massa atomica dell’ossigeno e 12 kg, la massa molecolare, della molecola, essendo costituita da due masse atomiche di ossigeno è di 32 kg). Stesso per la molecola di acqua H2O, dove una massa molecolare di idrogeno H2 si lega con una massa molecolare di ossigeno O e per tanto il rapporto stechiometrico è di 8 (16/2); l’ossigeno presente si combina con l’idrogeno (lega) sottraendo la quantità O/8 per cui partecipa effettivamente alla combustione solo H-O/8 (idrogeno che resta libero e che quindi non lega con l’ossigeno). Indicando con C, H, S ed O le percentuali in massa, la quantità di ossigeno mo stechiometrica necessaria per la combustione risulta analiticamente espressa dalla seguente relazione:

  

Considerando poi che l’aria in massa è costituita approssimativamente da 23 parti di ossigeno e 77 parti di azoto (esiste anche l’1% di gas rari), la massa stechiometrica necessaria per il processo di combustione completo è dato dalla seguente relazione:

  

Per l’aria di combustione è necessario conoscere anche il volume per determinare la giusta dimensione delle tubazioni, le varie sezioni di passaggio dell’aria nell’impianto, dimensionare la portata di eventuali ventilatori. A tale proposito viene utilizzato il volume normale di una mole di gas misurato in metri cubi ed indicato con Nm3 (normal metri cubi), definito come il volume di una mole di gas alla temperatura di 0 °C e alla pressione di 760 mm di colonna di mercurio pari a (1,013 bar); il volume normale di una mole è uguale per tutti i gas ed è pari a 22,40 m3 (numero di kg pari alla massa molecolare della sostanza), per tanto il volume specifico Vo dell’ossigeno di massa molecolare 32 è dato dalla seguente relazione:

   

dove mo è la percentuale di ossigeno necessaria per la combustione. Sostituendo ad mo la relazione precedente e considerando che le parti di ossigeno nell’aria sono 21,  si ottiene:

 

I quantitativi stechiometrici determinati dalla relazione di sopra sarebbero sufficienti in una situazione ideale di perfetta ed omogenea mescolanza, dove ogni molecola di combustibile possa entrare in contatto e reagire completamente con le corrispondenti molecole di comburente (l’agente ossidante nella combustione, in prevalenza ossigeno) entro il tempo disponibile per la combustione. Nella pratica non risultando realizzabile la condizione ideale sopra descritta, occorre utilizzare un quantitativo di aria maggiore per essere sicuri di ottenere una completa combustione del combustibile, al fine di ridurre sprechi, costi e ridurre l’inquinamento atmosferico; l’espressione del quantitativo di aria reale da utilizzare in combustione viene di solito espresso come segue:
oppure:
rappresenta il coefficiente di eccesso d’aria ed ha valore superiore all’unità.
L’eccesso di aria è molto variabile in dipendenza del tipo di combustibile (solido, liquido, gassoso) e delle modalità con cui si realizza la combustione in relazione alle applicazioni tecniche di impiego. Nelle caldaie a vapore assume valori tra 1,60 a 1,80 con il carbone in pezzi, mentre scende fino a 1,10 – 1,20 per i combustibili liquidi, gassosi e per il polverino di carbone i quali consentono tutti una migliore miscelazione con l’aria comburente (il 10% - 20% in più rispetto ai valori stechiometrici calcolati dal modello teorico). Nelle turbine a gas la quantità di aria realmente impegnata raggiunge i 300% - 400% in più dell’aria teorica con il coefficiente e che assume valori da 3 a 4; l’eccesso di aria non è dovuto alla combustione ma per limitare la temperatura massima del ciclo diluendo i gas combusti con eccessi di aria. Il metodo sperimentale maggiormente utilizzato per determinare gli eccessi di aria presenti nella combustione prevede la conoscenza della percentuale dell’anidride carbonica presente nei gas di scarico misurata mediante speciali analizzatori. Nota la percentuale di anidride carbonica nella combustione e la composizione del combustibile è possibile calcolare il coefficiente e tramite la seguente relazione per i combustibili liquidi e solidi:


dove y è la percentuale in volume di CO2.





4 – CALCOLO DEL POTERE CALORIFICO

La determinazione analitica del potere calorifico di un combustibile può essere effettuata sommando la quantità di calore fornita dai vari componenti con l’ipotesi semplificativa  di combustione separata dei medesimi (legge di Dulong); la formula utilizzata nota come formula di Dulong è una relazione empirica per il calcolo del potere calorifico superiore, che combina le principali reazioni di combustione considerando l'energia sprigionata da ciascuna di esse. Per un combustibile solido o liquido è possibile scrivere, (con C, H, O vengono indicate le percentuali di massa delle varie componenti contenute in un chilogrammo di combustibile determinate mediante l'analisi chimica elementare (1°)):

 

oppure
 

La relazione di sopra come la seguente utilizzano la logica semplificata di sommare le quantità di calore che sviluppa in combustione ogni kg del relativo componente moltiplicato per la percentuale di massa presente in un chilogrammo di combustibile.
Il potere calorifico inferiore può essere scritto come segue:

 

oppure

 

Il termine sottrattivo è dato dal calore di evaporazione dell’acqua in kJ o kcal per la massa di acqua prodotta nella combustione aumentata dall’umidità a presente; in particolare risulta che 1 kg di idrogeno più 8 kg di ossigeno danno 9 kg di H2O. La determinazione del potere calorifico con le relazioni di sopra è accettabile in via approssimativa, per una misurazione più precisa vanno utilizzati metodi sperimentali con apparecchi calorimetri; i maggiormente utilizzati sono la bomba calorimetrica di Berthelot-Mahler per i combustibili liquidi ed il calorimetro di Junkers per i combustibili gassosi.


(1°) Nota: in chimica analitica, l'analisi elementare rappresenta la determinazione di quali elementi chimici e in che quantità questi si uniscono per formare un dato materiale o sostanza. La quantità dei singoli elementi presenti viene solitamente espressa in forma percentuale. Uno dei classici metodi utilizzati per l'analisi elementare dei composti organici sfrutta la loro combustione. In questo modo, elementi quali carbonio, idrogeno e azoto formano rispettivamente anidride carbonica, acqua e ossido nitrico, dai quali si può risalire al contenuto originario dell'elemento chimico cercato tramite analisi gravimetrica. Le strumentazioni e tecniche moderne hanno portato allo sviluppo di analizzatori automatici.

L'analisi gravimetrica viene effettuata mediante due principalmente metodi
analisi per precipitazione: il componente viene separato trasformandolo in un composto poco solubile che dopo opportuni trattamenti viene pesato;
analisi per volatilizzazione: il componente viene determinato sfruttando la volatilità di un suo costituente (per esempio acqua di cristallizzazione nella determinazione dei sali idrati) oppure quella di un suo derivato (per esempio, il diossido di carbonio nella determinazione dei carbonati).
Determinando la perdita della massa pesata del campione, si hanno i dati per risalire alla quantità o alla massa del componente in esame (tramite l’analisi della reazione chimica che forma il campione). Questo tipo di analisi ha un margine di errore di circa 5%.

Di seguito il potere calorifico del legno:



Il potere calorifico superiore del legno dipende al massimo per il 15 % dalla specie della pianta; esso nei vettori energetici commerciali è molto variabile e dipende dall'origine del materiale e dai trattamenti successivamente subiti, perciò i valori in tabella sono puramente indicativi, è comunque possibile far riferimento ai dati in figura ottenuti dai laboratori di Oak Ridge: Lower and Higher Heating Values of Gas, Liquid and Solid Fuels Archiviato il 20 febbraio 2013 in Internet Archive.



5 - DETERMINAZIONE SPERIMENTALE DEL POTERE CALORIFICO.

Sono principalmente utilizzati due tipi di calorimetri per determinare il potere calorifico dei combustibili: la bomba calorimetrica di Berthelot-Mahler per i combustibili solidi e liquidi ed il calorimetro di Junkers per combustibili gassosi.
Prima di procedere allo studio due calorimetri è necessario richiamare la definizione di potere calorifico di un combustibile: definito come la quantità di calore sviluppata da 1 kg di combustibile sia che si trova allo stato solido che liquido o da 1 Nm3 (normal metri cubi, definiti nel paragrafo 3) di combustibile gassoso, nel corso dell’intera combustione. Per combustione completa si intende quella nel corso della quale tutto il carbonio, sotto qualunque forma si trovi nel combustibile originario, viene trasformato in anidride carbonica, C02, tutto l’idrogeno in acqua H20, tutto lo zolfo in anidride solforosa SO2 e tutto l’azoto in azoto elementare N2.

 

Bomba calorimetrica di Berthelot-Mahler

La bomba calorimetricanota anche come bomba di Mahlerè un calorimetro con cui è possibile determinare la quantità  di calore sviluppata nella combustione di sostanze solide o liquide (calore di combustione)La bomba calorimetrica consiste in un piccolo recipiente di acciaio a pareti robuste, ermeticamente chiuso, in cui è posta una piccola capsula di porcellana nella quale viene posta la sostanza da esaminare. All'interno della bomba calorimetrica viene immesso ossigeno puro in pressione e la combustione viene innescata mediante una resistenza elettrica "immersa" nella sostanza da esaminare. Facendo passare corrente elettrica attraverso la resistenza elettrica, questa si arroventa e provoca la rapida combustione del composto. Il calore della reazione di combustione viene assorbito da una nota quantità diacqua distillata, in cui è immersa la "bomba".

Nota, mediante taratura, la capacità  termica C della bomba calorimetrica e tenendo conto che il calore specifico dell'acqua è uguale a 4,184 J·g-1·°C-1, applicando la legge fondamentale della termologia (°)possiamo risalire alla quantità di calore emessa durante la combustione.
(°) La legge fondamentale della termologia esprime la quantità di calore che bisogna somministrare (o sottrarre) ad un corpo di massa m per innalzare o abbassare la sua temperatura dal valore iniziale t1 al valore finale t2. Il calore specifico Csp è una proprietà intrinseca e caratteristica di ogni tipo di sostanza.
Tale valore è calcolabile applicando la seguente formula:
nella quale:
m = massa in grammi dell'acqua distillata in cui è immersa la bomba calorimetrica (g);
C = capacità termica del calorimetro (J·°C-1);
T1 = temperatura iniziale dell'acqua (°C);
T2 = temperatura finale dell'acqua (°C);
Hs = quantità  di calore emessa durante la reazione di combustione (J).
In questo modo viene determinato il potere calorifico superiore, ovvero il potere calorifico avuto se l’acqua presente alla temperatura di reazione della combustione si trovasse allo stato liquido senza tener conto della quantità di calore impegnata per il passaggio di stato da liquido a gassoso, condizione che nella pratica non avviene perché, l’acqua presente nel combustibile, evapora impegnando una parte della quantità di calore sviluppatasi durante la combustione, parte che se sottratta alla stessa quantità di calore totale sviluppatosi (potere calorifico superiore ricavato dalla misurazione delle temperature T1 e T2) consente la determinazione del potere calorifico inferiore. Per la determinazione di questo ultimo, (potere calorifico inferiore), che si ha quando l’acqua si trova allo stato gassoso alla temperatura di reazione della combustione, è necessario conoscere la quantità di acqua generatasi durante la combustione. Il potere calorifico inferiore si differenzia dal potere calorifico superiore proprio perché tiene conto della quantità di calore (prodotto dalla combustione) impegnata per il passaggio di stato da liquido a gassoso dell’acqua presente alla temperatura di reazione della combustione, più l’eventuale acqua presente nel combustibile (combustibili liquidi). Nella pratica è di maggiore interesse il potere calorifico inferiore perché nella maggior parte dei casi i gas combusti abbandonano le apparecchiature ancora caldi e quindi con l’acqua allo stato di vapore.
Il passaggio dal Hs a Hi nella bomba calorimetrica avviene come segue: si estrae la bomba dall’involucro in cui è contenuta l’acqua, si collega alla valvola di ingresso una bombola con gas inerte, generalmente azoto, assolutamente anidro (secco). Colleghiamo alla valvola di uscita un tubicino contenente una sostanza fortemente igroscopica (ad esempio: cloruro di calce anidro); facendo fluire il gas nella bomba, trascinerà con se le molecole di vapore acqueo che sono sospese all’interno e causerà l’ulteriore evaporazione delle altre molecole di acqua. Il gas che trasporta il vapore acqueo esce dalla valvola di uscita finendo nel tubicino in cui è contenuta la sostanza igroscopica che assorbe l’acqua. In questo modo tutta l’acqua presente nella bomba evapora e viene trasferita alla sostanza igroscopica che aumenta di peso; quando viene prelevata tutta l’acqua nella bomba, la sostanza igroscopica termina di assorbire. L’aumento di peso della sostanza igroscopica ci dà il quantitativo di acqua che si è sviluppato nel corso della combustione della massa di combustibile. Il potere calorifico inferiore si calcola dal potere calorifico superiore tramite la seguente formula:
 
dove n= quantità di acqua condensata e 600 è il calore latente di evaporazione di 1 kg di acqua (kcal/kg).

 

Taratura della bomba calorimetrica e determinazione della capacità  termica del calorimetro

La capacità  termica del calorimetro tiene conto del fatto che anche le sue parti componenti (contenitore, termometro, agitatore, ecc.) assorbono calore.
E' necessario pertanto predeterminare la capacità  termica del calorimetro, cioè determinare la quantità  di calore necessaria per innalzare di 1°C la temperatura di tale sistema.
E' possibile determinare la capacità  termica del calorimetro facendo svolgere nell'apparecchio una reazione il cui potere calorifico sia noto. Alternativamente la capacità  termica del calorimetro si determina facendo passare, attraverso la resistenza, una quantità nota di corrente elettrica che viene dissipata come calore all'interno dello strumento.


Il calorimetro di Junkers

Il calorimetro di Junkers viene utilizzato per determinare il calore specifico di un combustibile gassoso. Il principio di funzionamento è simile a quello di una bomba calorimetrica; è costituito fondamentalmente da una camera di combustione in cui il gas viene fatto bruciare, contenuta all’interno di un contenitore in cui viene immessa acqua che fluisce dal basso verso l’alto e che si riscalda a seguito della combustione. Diversi termometri sono posti a varie altezze per monitorare la temperatura.


Una quantità misurata del gas di cui si vuole determinare il calore specifico viene inviata al bruciatore a una determinata pressione che viene misurata da un manometro. Dopo la combustione del gas i prodotti derivanti dalla combustione migrano verso l’alto e, attraverso dei tubi ricadono verso il basso e fuoriescono dal calorimetro. Viene registrata la temperatura alla quale i gasi derivanti dalla combustione fuoriescono che dovrebbe essere prossima alla temperatura ambiente; ciò implica che tutto il calore derivante dalla combustione è stato assorbito dall’acqua. L’acqua eventualmente formata dalla condensazione del vapore viene raccolta in un recipiente.  In particolare viene misurata la temperatura di ingresso dell’acqua di raffreddamento T1 e viene misurata la temperatura di uscita della stessa, la temperatura T2; (da osservare che dopo un certo intervallo di tempo, mantenendo invariata la combustione la temperatura T2 raggiunge il valore di regime e non varia).  Il sistema in figura è tale che i fumi di combustione cedono all’acqua tutto il calore prima di uscire da esso. In questo sistema l’acqua formatasi nella combustione condensa con il raffreddamento dei gas fuoriuscendo dal sistema nel condensatore. Il potere calorifico superiore e definito come segue:

dove:

 potere calorifico superiore (kcal/Nm3), quindi è riferito alla portata volumetrica di combustibile gassoso,

Gwa= portata dell’acqua di raffreddamento che fluisce all’interno del calorimetro durante la misura (m3/t) dove t è il tempo (minuti, secondi, ore),

portata volumetrica del combustibile gassoso (Nm3/t) dove t è il tempo (minuti, secondi, ore),

 Calore specifico della portata di acqua (J·g-1·°C-1).

Nota la quantità di acqua che si è formata nella combustione ed essendo il potere calorifico superiore calcolato senza considerare la quantità di calore prodotta dalla combustione ed impegnata per il passaggio di stato dell’acqua da liquido a vapore (come se l’acqua presente alla temperatura di reazione della combustione si trova allo stato liquido senza aver subito il cambio di stato liquido-gassoso), infatti la misurazione delle temperature utilizzate per il calcolo sono conseguenza del totale assorbimento del calore da parte dell’acqua, è a questo punto calcolabile il potere calorifico inferiore dalla seguente relazione:

dove n= quantità di acqua condensata, 600 è il calore latente di evaporazione di 1 kg di acqua (kcal/kg).

Nota: l'entalpia posseduta da un sistema termodinamico (solitamente indicata con H) è una funzione di stato definita come la somma dell'energia interna U e del prodotto della pressione p per il volume V:
per una trasformazione isocorobarica (a volume e pressione costanti), la variazione di entalpia coincide sia col calore (Q) sia con la variazione di energia interna (ΔU) che si è avuta durante il processo. A causa del fatto che, normalmente, non è possibile conoscere il valore assoluto dell'energia interna di un sistema o di una sostanza, durante una determinata trasformazione termodinamica si può misurare solo la variazione di entalpia (ΔH) e non il suo valore assoluto; ad esempio, nel determinare la variazione di energia interna dovuta alla variazione di temperatura, l’aliquota non dipendente dalla temperatura e che rimane costante, si annulla nella differenza tra i due livelli energetici iniziale e finale causati dalla variazione di temperatura, aliquota che potrebbe essere difficilmente determinabile volendo calcolare il valore energetico interno iniziale, assoluto. È possibile definire un valore di riferimento che identificherà uno stato energetico di partenza o anche identificarlo come stato energetico a valore zero e riferirci nei calcoli a tale livello di riferimento calcolando quindi non il valore assoluto ma la variazione della grandezza di stato necessaria per il progetto.



6 – RENDIMENTO DI UN IMPIANTO MOTORE

Per determinare il rendimento di un impianto motore e quindi non della singola macchina operatrice o della singola macchina motrice ma dell’insieme di gruppo macchina operatrice più macchina motrice, va considerato che questo consuma energia primaria disponibile in natura e che può trovarsi sotto forma di energia potenziale e, o cinetica di fluidi come per gli impianti motori idraulici ed eolici (ad esempio gli impianti di produzione di energia a turbine idrauliche o a turbine eoliche). Negli impianti motori termici si consuma invece energia chimica di combustibile (escludendo gli impianti nucleari non di interesse per questa ricerca); per il rendimento globale dell’impianto motore si fa riferimento alla potenza meccanica Pmautilmente ricavata sull’albero motore e la potenza termica corrispondente al combustibile consumato. Misurando Pma in kW, indicando con  la portata di combustibile consumata, misurata in kg/s ed indicando con Hi il potere calorifico inferiore misurato in kJ/kg, il rendimento globale  è calcolato tramite la seguente relazione:

Misurando il potere calorifico in kcal/kp e la portata di combustibile in kp/h la relazione di sopra diventa:

dove 860 [kcal/kWh] è l’equivalente termico del kWh.
Il rendimento   negli impianti motori termici è scomponibile nel prodotto di quattro rendimenti:


Il rendimento di combustione  tiene conto della seguente dinamica: in un impianto motore vi è una fase di sviluppo calore e successiva adduzione al fluido (gas o vapore) che opera in maniera attiva nell’impianto. La fase di sviluppo calore è caratterizzata da una combustione che può essere interna o esterna al fluido operante (interna per i motori a combustione interna, le turbine a gas, esterna ad esempio per le turbine a vapore), in nessun caso potrà mai essere completa oltre ad essere affetta da altre perdite minori relative a dispersioni di calore verso l’ambiente esterno alla macchina. Possiamo per tanto considerare che nella pratica non tutta la potenza termica Hi teoricamente disponibile viene effettivamente ricevuta dal fluido operante, ma solo una aliquota Q1<Hi  dinamica che consente la definizione del rendimento di combustione   o più genericamente dello sviluppo di calore e sua adduzione al fluido operante:
Il rendimento limite  tiene conto dei seguenti fenomeni relativi al ciclo in cui evolve il fluido motore: il fluido a cui viene trasferito il calore dalla combustione evolve nella macchina motrice operando secondo un determinato ciclo termodinamico (ad esempio di Rankine o di Hirn per quelli a vapore, di Joule per le turbine a gas, ciclo a Otto per i motori a combustione interna), logica che richiede un comportamento ideale oltre che dello stesso fluido anche del complesso di macchine (operative e motrici) che costruiscono l’impianto motore. Questo significa che il fluido evolvente abbia calori specifici costanti con la temperatura e che le pareti della macchina dovrebbero essere perfettamente adiabatiche durante le fasi di compressione ed espansione e perfettamente permeabili al calore (adiabatiche) durante lo scambio termico tra il fluido e l’ambiente (e viceversa). Logica che prevedrebbe la realizzazione di un impianto troppo lontano dalle possibilità tecniche e pratiche; a gravare è certamente l’impossibilità di ottenere un fluido con comportamento ideale a causa delle due caratteristiche fisico-chimiche sulle quali non è possibile influire in nessun modo: la variabilità dei calori specifici con la temperatura, e la variabilità della specie molecolare del fluido motore per effetto della combustione interna nei motori a combustione interna, (il fluido motore ottenuto dalla combustione della miscela combustibile aria). Al contrario si potrebbe ammettere il comportamento ideale dell’impianto motore, supponendo la condizione limite in cui si eliminano tutte le perdite. In queste condizioni si ammette di far riferimento ad un ciclo limite relativo ad una macchina perfetta in cui evolve un fluido reale (in cui si ipotizzano nulli gli effetti della viscosità) ottenendo dalla ipotesi menzionata che le fasi di compressione e di espansione adiabatiche, per la macchina nella condizioni limite di perfetto isolamento, siano anche isoentropiche; l’ipotesi sulla viscosità è una conseguenza della macchina perfettamente isolata in quanto questa pur essendo fortemente influenzata dal disegno e dalle dimensioni della macchina oltre che dalle varie parti, risultano nulli i relativi effetti nella ipotesi di ciclo limite in cui le macchine vengono supposte ideali e quindi supposta l’ipotesi di perdite nulle, inclusa quelle relative alla viscosità (ritenuta nulla). Indicando con Pi la potenza utilmente ricavabile da tale ciclo è definito rendimento limite il seguente rapporto:
dove  è la potenza termica effettivamente ricevuta dal fluido.
Il rendimento interno  elimina l’ipotesi di macchina perfettamente reale e quindi il fluido reale operante in essa subisce delle ulteriori inevitabili perdite; in particolare la potenza trasferita agli organi meccanici della macchina non è quella del ciclo limite Pl ma una potenza Pr minore. Il seguente rapporto definisce il rendimento interno di una macchina:
e tiene conto di tutte le perdite relative al funzionamento reale della macchina rappresentando un indice di bontà dell’impianto motore. Il prodotto tra il rendimento limite ed il rendimento interno definisce il rendimento termico reale che come indicato nella seguente relazione è fornito dal rapporto tra la potenza realmente trasferita agli organi mobili della macchina e dalla potenza termica ricevuta dal fluido agente.


Il rendimento meccanico  meccanico tiene conto degli attriti che si generano tra tutti gli organi dotati di moto relativo e degli inevitabili meccanismi ausiliari come pompe, ventole ed altri, necessari al funzionamento della macchina ed azionati dall’albero motore, carichi che riducono la potenza Pr fornita sull’albero stesso per le macchine operatrici e per tanto si ha una potenza meccanica Pma inferiore a Pr. Il rendimento meccanico è definito dal seguente rapporto:

In conclusione la scomposizione del rendimento globale nel prodotto dei quattro rendimenti sopra definiti risulta essere la seguente:


sostituendo in essa il rendimento termico reale diventa:


La suddivisione operata del rendimento globale dalla suddivisione delle perdite in quattro categorie o classi, ha una validità generale e risulta assolutamente razionale, risultando esatte se il calore adotto nel ciclo reale coincide con quello relativo al ciclo limite; circostanza che non è sempre verificata, basta pensare alle turbine a gas, per esempio, in cui il calore adotto nel ciclo reale è sempre minore e per cui le formule di sopra vanno opportunamente corrette.
Dalle espressioni del rendimento globale senza suddivisone nei quattro rendimenti, sopra definite, è possibile calcolare un parametro di grande interesse negli impianti a motori termici, il consumo specifico di carburante cs che rappresenta la portata di combustibile, espressa in kg/s ed in kp/h, che si consuma per unità di potenza e cioè per kW; la sua espressione di calcolo risulta essere:

   

moltiplicando per il fattore di conversione 3600 si esprime cs in kg/(h kW),
   

o anche
   

Viene spesso utilizzato il calore q inteso come il calore necessario per produrre l’unità di lavoro meccanico e definito dalla relazione
dalla espressione di cs sopra definita si ottiene
 

La conoscenza del consumo specifico consente di ricavare il rendimento globale senza la necessità di conoscere il potere calorifico inferiore del combustibile impiegato. Risulta ovvio che il consumo specifico sarà tanto inferiore quanto più alto è il rendimento ed esprime un dato tecnico molto importante in quanto indicativo del grado di perfezionamento e dell’economia (anche in termini di inquinamento: un impianto che brucia meno combustibile per il lavoro richiesto inquina certamente di meno) di un impianto motore termico. Le formule qui studiate restano valide anche per un impianto motore ridotto ad un solo apparecchio, il motore primo, come nel caso dei motori alternativi a combustione interna.


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