Gli studi Universitari. Scopo fondamentale.
Scopo fondamentale
Gli studi Universitari.
Allo stato presente, gli Studi universitari di ogni paese del mondo hanno come scopo fondamentale quello della formazione professionale, con uno o più livelli, in dipendenza anche delle tradizioni dei singoli paesi. In Italia, fino alla riforma ultima degli Studi universitari, entrata ufficialmente in vigore solo recentemente, esisteva, o meglio era riconosciuto di fatto, un unico livello di formazione universitaria, in quanto il Diploma universitario ha avuto sempre scarsa considerazione, sia in ambito accademico che nel mondo del lavoro. Il titolo professionale veniva conseguito al termine di un ciclo di studi, che, a seconda delle facoltà, aveva una durata ufficiale da quattro a sei anni. Per la facoltà di ingegneria, tale durata era di cinque anni. Oggi oltre 6 anni.
La caratterizzazione degli studi universitari non è stata da sempre e dappertutto quella della formazione professionale. Pertanto, allo scopo di comprendere meglio gli avvenimenti cui si farà riferimento, sarà utile avere qualche indicazione su cosa significasse lo Studio Universitario nei secoli passati. Per "Università" si intende comunemente la struttura e l'istituzione, scientifica, didattica e culturale, che costituisce il più alto livello di istruzione di un paese. Con questo termine, però, nei secoli addietro, a partire dal Medioevo, venivano anche identificate Corporazioni o altre associazioni di carattere economico e commerciale. Ad evitare confusioni, riteniamo opportuno precisare che, riferendoci alle Università del passato, intendiamo le Università degli Studi, abilitate all'insegnamento superiore. Laddove si tratterà di Corporazioni, sarà specificato.
Nelle Università del Medioevo, assieme alla Sacra scrittura, alla Teologia ed alla Filosofia, vi si insegnavano il Diritto, la Medicina e le Arti liberali (grammatica, retorica, logica, aritmetica, geometria, astronomia, musica). Le Università del Medioevo costituirono il prestigio dei grandi centri universitari d'Europa: Bologna, Parigi, Oxford, Salamanca, Vienna, Erfurt, Colonia, Basilea, Lovanio, Hannover, Budapest, Cracovia, Praga, Coimbra, Vilna, Upsala, Copenaghen. In esse si formarono giuristi, avvocati, notai, teologi, chierici, cioè i responsabili civili ed ecclesiastici. In Italia gli Studi universitari nacquero come corporazione o di maestri (universitas magistrorum) o piuttosto di scolari (universitas scholarium), e quindi con una vera e propria autonomia. Ma a Napoli lo Studio sorse per volontà del sovrano con lettori nominati e stipendiati da lui, e con una completa dipendenza dallo Stato..... Lo Studio è una vera e propria scuola di Stato, ed è mantenuto in vita sia per alimentare la cultura, sia per ottenere quel dato numero di medici e di avvocati che è necessario al paese. (Nino Cortese, L'età spagnuola, in "Storia dell'Università di Napoli" - Ristampa anastatica, Il Mulino 1993). Il lettore dell'Università medievale era, salvo quindi qualche eccezione come a Napoli, un professionista indipendente del sapere, inserito in una corporazione autonoma e solidale con i colleghi (v. M. Roggero: Storia d'Italia, Annali 4, p.1039-1081, Einaudi 1981).
Nella seconda metà del Cinquecento, conseguentemente allo scisma prodotto dallo sviluppo del Protestantesimo, la Chiesa cattolica, dopo i lavori del Concilio di Trento (1545-1563), riorganizzò in maniera capillare e rigorosa il controllo su molti aspetti della cultura filosofica e letteraria. Ne derivava una crisi generale di rapporti tra intellettuali e potere, nella quale veniva coinvolta anche la corporazione universitaria degli atenei italiani. Crisi che era destinata a trascinarsi a lungo senza soluzioni, perché collegata anche alla riduzione delle disponibilità finanziarie degli atenei, in quanto era diminuito il gettito reale delle rendite vincolate all'insegnamento da autorità e benefattori. Ad esempio, a Bologna, nel 1668, il Senato, che non riusciva più a far fronte agli stipendi con il vecchio reddito della Gabella grossa, sospendeva le nuove nomine (di docenti), riducendo il numero di lettori di più di un terzo. Solo nel corso del Settecento si sarebbe delineato, tra mille difficoltà, un mutamento di fondo .... Dalla disgregazione dei quadri di riferimento tradizionali erano emerse, con rinnovata fortuna, forme di insegnamento privato. Uno dei casi più frequenti era l'annodarsi di un rapporto privilegiato tra il giovane universitario e un professore che lo guidava nel corso degli studi ..... Il processo che coinvolgeva le istituzioni universitarie, accentuando l'importanza dei titoli rispetto all'insegnamento, contribuì ad alterare i rapporti di potere interno in favore dei Collegi professionali, che controllavano il conferimento dei gradi. La composizione dei Collegi variava da ateneo ad ateneo. Coincidevano talvolta, come a Pisa, con il corpo docente; talaltra, come a Napoli, costituivano corpi professionali del tutto autonomi dallo Studio (v. M. Roggero, citato sopra). Si comprende quindi come, riferita al Seicento ed al primo Settecento, la nozione di Studio Universitario presenta notevole vaghezza. Se per tale si intende ogni istituto abilitato ad addottorare, la gamma di questi fu ampia e differenziata; oltre agli studi in senso proprio, di origine comunale o signorile e con attività intermittente, e poco studiata, furono abilitati ad addottorare (in filosofia e talora in diritto) diversi Collegi gesuitici, mentre lauree mediche furono assegnate da organi come i Collegi dottorali ed i Protomedicali, a conclusione di appositi corsi professionali istituiti in sede locale, o di semplici studi privati (Ugo Baldini: L'attività scientifica nel primo settecento; Storia d'Italia - Annali 3, p.465-545, Einaudi 1981). Soltanto verso la seconda metà del Settecento gli attributi di alta professionalità avrebbero caratterizzato il professore di una Università rinnovata, in quanto funzionario al servizio dello Stato, e l'Università sarebbe pervenuta ad una organizzazione e ad un ordinamento assimilabili a quelli che oggi conosciamo, con le riforme avviate nell' Università di Torino negli anni '20 (del XVIII secolo) ed ancor più con quella promossa da Maria Teresa d'Austria nell'Università di Pavia, che per lungimiranza di progetto politico e arditezza di rinnovamento culturale ..... avrebbe sopravanzato ogni altra (v.M. Roggero, citato sopra).
Per avere un'idea, anche se parziale, di cosa significasse, quanto meno a Napoli, l'Università degli studi ancora nei primi decenni del Settecento, valga quanto scrive Michelangelo Schipa nel suo contributo al volume, già citato, " Storia dell'Università di Napoli": Il secolo decimottavo. Scrive dunque lo Schipa: Nè studenti, in verità, nè professori si chiamavano allora; ma scolari.... gli uni, lettori gli altri: lettori, perché per una metà della lezione si leggeva un testo, di teologia, di legge, di medicina; per l'altra metà si spiegava o commentava. ..... Per varie ragioni la scolaresca universitaria non era numerosa. Vi mancava affatto l'elemento aristocratico, perché le famiglie nobili si guardavano bene dal mandare i loro figliuoli tra quella << turba di ogni genere>> come era ritenuta e designata quella scolaresca. La gioventù borghese delle province non vi affluiva in gran quantità per risparmio di spesa e per altri motivi. L'università preparava alla laurea, ma non conferiva la laurea............... Quei gradi accademici erano conferiti nei Collegi, teologico, legale, medico, da' componenti de' Collegi. Vero è che per essere ammesso all'esame nei Collegi bisognava esibire le matricole d'iscrizione e di frequenza a tanti anni di corso quanti ne richiedevano i vari dottorati. Ma quell'obbligo imposto dalle prammatiche, a Napoli valide non più delle grida milanesi di manzoniana memoria, veniva facilmente eluso. A capo dell'università stava un Prefetto, ed era per legge Prefetto dell'università il Cappellano maggiore pro tempore. Il quale, in tante altre faccende affaccendato, delegava con pochi ducati all'anno un Rettore << ad assistere in sua vece tutto giorno allo Studio>>; e a coadiuvare il Rettore nominava con date formalità un Vicerettore tra gli stesi scolari. Al mastrodatti dunque del Cappellano maggiore toccava rilasciare volta per volta quelle matricole d'iscrizione e di frequenza, al giovane che gliene facesse richiesta, prestando giuramento e pagandone la tassa: tassa fisssata per legge, ma cresciuta con tempo per arbitrio de' mastrididatti passati. E la tassa era ciò che soprattutto importava; riscosso il denaro, il mastrodatti notava il nome nel suo registro, e consegnava il documento, senza darsi la briga se il richiedente fosse proprio l'interessato... Per tal modo si poteva rimanere nella terra natia e figurare studente della capitale. L'università napoletana infine.... non era fatta per attirare in folla la gioventù vogliosa di imparare. .... E la disciplina? A mantenerla dovevano vigilare non solo il Rettore e lo scolare vicerettore, ma secondo le prammatiche anche un capitano di giustizia di guardia coi suoi birri nell'atrio dell'università..... Le prammatiche prescrivevano ai lettori la durata delle lezioni, ma, per diversi motivi i lettori si trattenevano il meno possibile ........ Come il nome del Vico, altri non pochi di alta e buona fama in vari campi dello scibile figurano tra i trenta cattedratici di quegli anni. Ma solo sette si imponevano alla stima degli scolari......... Nella facoltà di medicina due professionisti famosi, Luca Tozzi medico e Luca Antonio Porzio chirurgo, scarrozzavano per la città e lasciavano fare la lezione da sostituti.... ... Tra i teologi, parecchi... piantavano per due mesi dell'anno la cattedra per andare a fare i quaresimalisti nelle provincie..... il resto era zavorra di mediocri e d'inetti, ascoltati da qualche raro scolare. Il concorso e la grazia erano le porte a cui picchiavano i lettori irrequieti o scontenti per passare da una cattedra all'altra, non tanto per ragione o coscienza di maggior competenza, quanto per trarne un guadagno maggiore. Giacché, tra le tante diversità di titoli, di dignità, di diritti, l'enorme sproporzione degli stipendi era la più scottante.
Fonti per le ricerche: volume "LA SCUOLA D'INGEGNERIA IN NAPOLI 1811-1967" (a cura di Giuseppe Russo, pubblicato in occasione del trasferimento della Facoltà di Ingegneria da Mezzocannone ai nuovi edifici di Fuorigrotta).
Relatore pubblicazione: Prof. Lelio Della Pietra (Meccanica Applicata alle Macchine, Federico II, Ingegneria, Napoli)..
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